Uno dei concetti fondamentali della genetica è che i caratteri acquisiti nel corso della vita non sono trasmissibili alla prole. In altre parole, i genitori trasmettono ai figli solo i geni. Tuttavia, negli ultimi anni, si è compreso che da una generazione all’altra passano non solo i geni, ma anche, in parte, la regolazione dei geni. Nel corso della vita di un individuo, infatti, l’ambiente (ma anche le esperienze, in senso lato) induce specifiche regolazioni a carico dei geni, che vengono trasmesse da una generazione all’altra. La scienza che studia tali fenomeni prende il nome di epigenetica (dal greco επί, epì = “sopra” e γεννετικός, gennetikòs = “relativo all’eredità familiare”) e viene definita come lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione genica che non sono causati da cambiamenti nella sequenza del DNA.
Più poeticamente, l’epigenoma, ovvero il genoma che ha subito la modulazione indotta dall’ambiente, può essere definito come la “sinfonia che risuona nelle nostre cellule”. Le cellule utilizzano il DNA, lo stesso DNA, in modi diversi, come un’orchestra che può eseguire lo stesso spartito con diverse interpretazioni.
Ma cosa succede a livello molecolare?
I meccanismi epigenetici che entrano in gioco in questa attività di regolazione dei geni tramite processi chimici e strutturali che non comportano, come già detto, cambiamenti nel codice del DNA, sono principalmente tre: la metilazione del DNA, le modificazioni istoniche e l’alterazione dell’espressione di RNA non codificanti (in particolare i microRNA).
Tali fattori epigenetici possono determinare l’”accensione” o lo “spegnimento” selettivo di geni, fornendo anche una spiegazione di come il materiale genetico possa adattarsi, in tempi brevi, ai cambiamenti ambientali.
La metilazione consiste in una modificazione chimica (l’addizione covalente di un gruppo metile) del DNA. È un processo che porta all’inibizione o alla repressione della trascrizione genica. In generale, l’ipometilazione del DNA si associa ad un aumento dell’espressione genica (“accensione”), mentre l’ipermetilazione porta al silenziamento genico (“spegnimento”).
Nell’ambito della patologia oncologica, per esempio, l’ipermetilazione può inibire l’azione di geni che agiscono come soppressori di tumori o di geni responsabili della riparazione del DNA. Il pattern dell’epigenoma può cambiare in risposta all’ambiente per tutta la vita. In pratica, la regolazione genetica prosegue per tutta la vita dell’individuo e può spiegare le differenze esistenti tra gemelli monozigoti (soggetti che possiedono lo stesso patrimonio genetico). Le cellule dei gemelli monozigoti non hanno necessariamente lo stesso destino poiché sono i cambiamenti biochimici del DNA (ad esempio la metilazione) a decidere quali geni rendere attivi e quali no. Tali differenze epigenetiche si accumulano nel corso della vita diventando sempre più pronunciate.
Per capire meglio uno dei meccanismi molecolari alla base dell’epigenetica, bisogna ricordare che il DNA si trova in forma “impacchettata” grazie agli istoni, che sono microscopiche sfere di proteine che hanno la funzione non solo di impacchettare ed organizzare il DNA, ma anche di modularne la struttura tridimensionale.
Il DNA può quindi presentare diversi gradi di compattamento, grazie a modificazioni dei residui amminoacidici nelle code istoniche.
Per azione di specifici enzimi, gli istoni possono andare incontro ad una serie di modificazioni, tra le quali metilazione, fosforilazione, acetilazione e/o deacetilazione, e ubiquitinazione, tutti processi che possono inibire od aumentare l’espressione genica.
L’effetto di queste modificazioni, indotte da fattori ambientali, come ad esempio la dieta o l’assunzione di farmaci, dipende dalla posizione dell’istone e dal tipo di modificazione a cui vanno incontro.
Esiste anche un ulteriore meccanismo di modulazione del genoma: quello operato dai microRNA. I microRNA sono piccole molecole endogene di RNA non codificante (ovvero non danno origine a proteine), a singolo filamento, che modulano l’attività dell’RNA messaggero. Vengono sintetizzati nel nucleo delle cellule come precursori ed esportati nel citoplasma dove vanno incontro a maturazione. I microRNA maturi si legano al loro target, regolandone l’attività (inibiscono o reprimono la traduzione dell’RNA messaggero target, modulando la sintesi proteica). E’ stato dimostrato che questi RNA non codificanti regolano più del 60% dei geni codificanti proteine. Poiché questo complesso “network” viene normalmente regolato in modo molto fine, anche piccole differenze nell’espressione dei microRNA può portare allo sviluppo di patologie autoimmuni, patologie cardiovascolari e predisporre alle neoplasie.
Nell’ambito della patologia diabetica, è stato ad esempio dimostrato come alcuni di questi microRNA siano coinvolti sia nello sviluppo e maturazione del pancreas sia nella regolazione della secrezione di insulina. Di conseguenza, un’alterata espressione di queste molecole potrebbe portare il soggetto ad una ridotta secrezione di insulina con conseguente sviluppo della malattia diabetica.
Inoltre, dal momento che nella loro forma matura i microRNA possono essere rilasciati in circolo e sono molecole estremamente stabili, ne è stato ipotizzato il loro utilizzo come biomarcatori nella diagnosi e nel monitoraggio di diverse patologie. Un vantaggio è rappresentato dal fatto che sono facilmente misurabili nel siero o nel plasma ottenuto mediante “biopsia liquida”, un banale prelievo di sangue da vena periferica.
Concludendo, mentre nell’ultimo decennio gli studi di epigenetica si sono focalizzati prevalentemente sullo studio della patogenesi delle malattie e nell’identificazione di possibili biomarcatori diagnostici circolanti,
l’obiettivo più ambizioso per il futuro è di basarsi sull’epigenetica per identificare validi bersagli terapeutici.
I recenti sviluppi delle conoscenze e della strumentazione rendono l’epigenetica un campo in rapida evoluzione, auspicabilmente in grado di impattare favorevolmente sulla diagnosi, prognosi e terapia di molte patologie, quali le neoplasie e le malattie cardiovascolari.
Martina Montagnana, Sezione di Biochimica Clinica – Università degli Studi di Verona.